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Elohim, Adamiti e le macchine volanti

Riprendiamo dal periodo della discesa importante degli Elohim di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, una discesa, a seguito della quale, gli Elohim si sono uniti alle donne adamite e hanno generato dei figli. Siamo quindi in presenza di una razza mista che contiene patrimonio genetico umano e “divino”, cioè degli Elohim. Questa razza viene distrutta durante il famoso grande diluvio da l quale si salva Noè con la sua famiglia.

Nel patrimonio genetico di Noè, e quindi della discendenza semitica che da lui deriva, è presente nuovamente una parte “divina” in quanto, il Libro di Enoch ci racconta che alla sua nascita suo padre vede le caratteristiche fisiche del bimbo e subito esclama che “non è figlio suo” ma dei cosiddetti angeli, cioè quella parte della gerarchia degli Elohim che svolgeva vari compiti per conto dei comandanti: messaggeri, sorveglianti, esecutori di ordini…. Da Noè, attraverso Sem e le famiglie elencate nel capitolo 10 della Genesi, si arriva ad Abramo.

Nell’esegesi ebraica c’è scritto «Prima di Avraham tutti rimanevano di giovane aspetto fino alla morte. Avraham chiese ad Hashem» cioè agli Elohim – Hashem è il termine col quale gli ebrei sostituiscono il nome di Dio perché non lo possono pronunciare, quindi Hashem significa “il nome” – «chiese ad Hashem di ricevere i segni fisici della vecchiaia sostenendo: se un padre e un figlio sono simili nell’aspetto come si potrà sapere a chi dei due tributare onore quando entrano insieme in uno stesso luogo?».

Questo era tanto più valido nel momento in cui c’era proprio quella coesistenza chiarissima di cui abbiamo detto nel precedente articolo dove siamo arrivati fino a Yared e che è proseguita poi con i patriarchi postdiluviani. Questo ci autorizza quanto meno a ipotizzare che la presenza di patrimonio genetico degli Elohim in quel particolare gruppo etnico garantiva loro una durata e una qualità di vita, almeno dal punto di vista fisio-anatomico, privilegiata.

Tornando a Yared, ricordiamo che ha come primogenito Enoch.

Il patriarca Enoch

Enoch è il patriarca antidiluviano che tutti conoscono perché è il patriarca del quale si ricorda che all’età di 365 anni se n’è andato con gli Elohim. Mentre tutti gli altri hanno avuto una vita lunghissima che arrivava fino ai 930, 969, 950 anni, Enoch, a 365 anni e senza morire, viene stato prelevato dagli Elohim.

Anche qui ci viene in soccorso l’esegesi ebraica la quale dice che Enoch «Non morì di vecchiaia nel suo letto ma scomparve in maniera prematura rispetto alla vita media dell’epoca». In effetti, in maniera prematura (cioè a 365 anni) rispetto alla vita media dell’epoca Enoch, ha lasciato la Terra da vivo.
Quindi Enoch è uno dei “non morti”, come Elia che se ne è andato con il “ruach” degli Elohim (Secondo Libro dei Re, cap. 2); come Mosè che, come ci dice Giuseppe Flavio nella sua opera “Antichità giudaiche”, dalla terra di Moab è scomparso dentro una nube: termine col quale nell’Antico Testamento si indicava la presenza di Yahweh nella sua macchina volante, il “kavod.

Ma il discorso di Enoch è particolarmente interessante.

In Genesi 5,22 si dice «Enoch camminò con Dio. Enoch, dopo aver generato Matusalemme, visse ancora 300 anni e generò figli e figlie e l’intera vita di Enoch fu di 365 anni. Enoch camminò con Dio» poi la Bibbia ripete «e non ci fu più perché Dio (gli Elohim) lo aveva preso». Quindi Enoch non muore, Enoch se ne va con gli Elohim e lui stesso ci racconta quella sua partenza nel Libro dei Segreti di Enoch (Apocrifi dell’Antico Testamento):

«In quel tempo, disse Enoch, quando ebbi compiuto 365 anni, nel primo mese, nel giorno solenne del primo mese, ero solo nella mia casa, piangevo e mi affliggevo con i miei occhi. Mentre riposavo nel mio letto dormendo mi apparvero due uomini grandissimi come mai ne avevo visti sulla Terra: il loro viso era come sole che luce, i loro occhi come lampade ardenti, dalle loro bocche usciva un fuoco, i loro vestiti una diffusione di piume e le loro braccia come ali d’oro al capezzale del mio letto. Mi chiamarono col mio nome, io mi levai dal mio sonno e gli uomini stavano presso di me realmente».

Ora, questo è un elemento importantissimo e se, intelligentemente, facciamo finta che siano fatti realmente accaduti, capiamo molte cose. Tra l’altro la descrizione che Enoch fa di questi due personaggi ricorda molto quella della nascita di Noè, dove appunto lui si presenta con gli occhi grandi, splendenti, con la peluria bionda e col viso bianchissimo, luminoso: questo è il motivo per il quale, come già detto, il padre non lo riconosce come figlio suo e sono proprio queste le caratteristiche che lo accomunano ai due personaggi che fanno visita ad Enoch. È poi utile ricordare che nel Talmud si dice che Noè «non era ebreo» e non è ovviamente una affermazione casuale.

La situazione è talmente realistica che Enoch, quando arriva di fronte alla visione del grande capo, del Signore dell’Impero, annota che il suo volto si fa caldo cioè brucia al punto che è necessario l’intervento di un angelo per raffreddarlo e dice «Stare davanti al volto del re dei re, chi ne sostiene lo spavento infinito o la grande bruciatura? Il Signore chiamò dai suoi angeli uno terribile e lo pose accanto a me e quest’angelo raffreddò il mio volto». Ora, questo ricorda il racconto di quando Mosè chiede a Yahweh la possibilità di vedere il suo kavod; Yahweh glielo fa vedere però gli dice: non lo puoi vedere di fronte ma di dietro, perché se lo vedi di fronte muori ma, se non vuoi morire, ti nascondi dietro queste rocce e lo guardi dalla parte posteriore dopo che è passato. Ebbene, sappiamo dal Libro dell’Esodo che, dopo questa situazione vissuta da Mosè, quando lui scende dalla montagna ha il volto bruciato: è stato vicino a questo “qualcosa” utilizzato dagli Elohim e ha il volto bruciato: la corrispondente descrizione di Enoch è di un estremo realismo, perché dice: “Avevo il volto bruciato” e dice “realmente quei due erano accanto a me”.

Questo è il primo video dedicato agli oggetti volanti descritti nei poemi omerici e nella Bibbia

Si era svegliato, non era un sogno.
Ma la frase importante, relativa a Enoch e relativa anche a Noè, è quella che contiene l’espressione “camminava con gli Elohim” di cui diremo tra breve, per ora vediamo un parallelismo interessante e chiarificatore tra Enoch e Noè.
In Genesi 6,9 dice: «Noè era un uomo giusto, integro tra i suoi contemporanei», dove per “integro” si intendeva non tanto dal punto di vista morale ma, nella concretezza della lingua ebraica, integro dal punto di vista fisico, direi fisio-anatomico, genetico: integro cioè per il modo in cui è stato fabbricato. E ancora, dice la Bibbia: «E Noè camminava con Dio», esattamente ciò che si dice di Enoch, quel personaggio che viene scelto dagli Elohim per essere portato in lunghi viaggi fino a che viene portato via definitivamente da loro.

In questi lunghi viaggi Enoch riceve tutta una serie di informazioni scientifiche che lui deve annotare a beneficio dell’umanità e, in questo, è sovrapponibile al personaggio dei racconti sumero-accadici Emmeduranki o Emmedurana: anche lui è settimo nella posizione dei cosiddetti patriarchi antidiluviani, anche lui riceve dagli Anunnaki – il corrispettivo sumero-accadico degli Elohim biblici – tutta una serie di informazioni da trasmettere all’umanità. Quindi, di Enoch e di Noè si dice che «camminavano con gli Elohim».

Cosa vuol dire che “camminavano con gli Elohim”?

Lo andiamo a vedere: per Enoch in Genesi 22, 24, per Noè in Genesi 6, 9.
La cosa interessante è, innanzitutto, che l’espressione usata per Enoch e l’espressione usata per Noè è esattamente la stessa. In ebraico c’è il verbo “itchallech” e la traduzione, sia per quanto riguarda Noè sia per quanto riguarda Enoch, è “camminava con Dio”.
Ma “itchallech” è il verbo “halach” usato, in entrambi i casi, nella cosiddetta forma “hitpael” cioè è la forma riflessiva intensiva che indica proprio “l’andare avanti e indietro continuamente, reciprocamente”.

Il reciprocamente, nella forma o coniugazione, “hitpael” indica proprio l’atto del compiere un’azione in modo intensivo, riflessivo e reciproco. In altre parole, era proprio un “andare avanti e indietro assieme”: non c’è veramente espressione che possa rendere più concretamente quel rapporto fisico continuo che questi patriarchi avevano con gli Elohim.
In quel periodo della storia degli Adamiti biblici la convivenza con gli Elohim era continua, costante, fisica: c’erano i figli degli Elohim che scendevano e si univano con le donne adamite, c’erano gli Elohim che intervenivano per far nascere individui geneticamente “integri” (Noè), c’erano quelli che viaggiavano con gli Elohim sulle loro macchine volanti…Per inciso, ricordo che nel Libro di Enoch sono descritte 23 specie di carri volanti.

Questo è quanto emerge dalle letture a patto che si riporti esattamente ciò che è scritto nella lingua ebraica.

In sostanza il discorso appare chiaro: sia Enoch che Noè viaggiavano avanti e indietro con gli Elohim e in questi viaggi Enoch viene portato al prospetto del comandante, quello che nella Bibbia è chiamato Elyon (cioè “quello che sta sopra”).

E che cosa succede?

Succede che “Enoch viene unto” E chi è che lo unge? Michele, il cosiddetto arcangelo, l’archistratega, il generale di corpo d’armata che comandava sui capi degli angeli.

Una tavola della graphic novel Elohim Deluxe che raffigura Enoch “il viaggiatore”

La parola “Messia”

Nel già citato Libro di Enoch si legge che il capo dell’Impero disse a Michele «prendi Enoch e spoglialo delle vesti terrene e ungilo di olio benedetto e rivestilo di vesti di gloria. L’aspetto dell’olio era più di una grande luce, il suo unguento come la rugiada benefica, il suo profumo come di mirra e i suoi raggi come quelli del sole. Guardai me stesso e fui come uno dei gloriosi» cioè di quelli che erano al cospetto del trono del grande capo.

Ora qui si introduce il concetto dell’unto, cioè il concetto del Messia (termine ebraico che significa appunto “unto”, e questo avviene nel momento in cui Enoch sta per essere introdotto alla presenza del grande capo dell’Impero.
Questo concetto di unzione, che poi si ritrova ancora nel Nuovo Testamento con il termine Cristo, “Christos” che significa anche esso “unto”, indica il “mashiach” cioè il Messia con la sua radice verbale cui è stata data una interpretazione che ha avuto nei secoli una evoluzione a seguito della quale ha assunto semplicemente un significato simbolico: quello di versare poche gocce di olio sul capo di un individuo per sceglierlo (ungerlo) come re, ungerlo Messia, appunto, cioè come inviato speciale.
In realtà la radice verbale ha una serie di significati precisi, concreti e decisamente più chiarificatori.
Per esempio, per il Dizionario di ebraico e aramaico biblici della Società Biblica Britannica, il verbo “mashach” significa “aspergere e ungere” ma ungere nel vero senso della parola, non soltanto versare due gocce sulla testa. Il dizionario Brown Driver Briggs riporta questi significati: “wipe, stroke, clean, smear, anoint” cioè il significato addirittura di strofinare, strofinare per pulire, ungere fino a imbrattare, quindi non rovesciare una goccia. Lo Strong (altro importante dizionario di ebraico biblico) riporta per “mashach”: “to rub with oil”, anche qui si dà l’idea di una azione compiuta con una certa violenza. Il Klein, che è il dizionario di Etimologia ebraica pubblicato dall’Università di Haifa, traduce con “smash” cioè quasi colpire, “spread, smear” di nuovo e, infine, il Lexicon Hebraicum Veteris Testamenti, cioè la traduzione dall’ebraico al latino del Pontificio Istituto Biblico, dice in latino “levo, oblevo”.

La chiara impressione che si ricava da tutto questo è quella di un atto fisico per cui una persona viene presa, viene spogliata, viene lavata, viene strofinata, viene unta di olio in modo tale da risultare quasi imbrattata. È una sorta di atto fisico che serviva forse a proteggere e quindi a mantenere una distanza o comunque a mantenere una situazione asettica tra gli Elohim e l’umano che veniva portato alla loro presenza, che veniva introdotto nei loro appartamenti: l’unzione era quindi come una sorta di atto di prevenzione igienico-sanitario.

Se andiamo a vedere che cosa c’è scritto, per esempio, per quanto riguarda l’unzione a cui si dovevano sottoporre coloro che entravano nel tempio di Yahweh, in Esodo 30, 22, Yahweh stesso ordina a Mosè: «Procurati balsami di prima qualità: 500 sicli di mirra fluida, 250 sicli – cioè la metà – di cinnamomo odoroso, 250 di cannella odorosa». Questa è una delle traduzioni, in altre traduzioni si dice di canna odorosa «500 sicli di cassia» – la cassia è una specie di cinnamomo – «secondo il siclo del santuario e un hin di olio d’oliva. Ne farai olio per l’unzione santa, un profumo eccezionale, opera di un profumiere». Quindi deve essere opera di uno capace fisicamente di produrre una miscela che funzioni: non è soltanto un atto simbolico.
«Sarà l’olio per l’unzione santa: ungerai con quello la tenda del convegno e l’Arca della testimonianza, la tavola e tutti i suoi oggetti, il candelabro e i suoi oggetti, l’altare dell’incenso, l’altare dell’olocausto e tutti i suoi oggetti, la vasca e il supporto. Ungerai e consacrerai come sacerdote Aronne e i suoi figli», cioè quelli che avevano la possibilità di entrare nella parte più interna, la parte più intima del Tempio.
Tutte queste spezie sono note per le loro proprietà antibatteriche, antimicrobiche, antisettiche e quindi, se le mettiamo assieme a tutta questa serie di significati che abbiamo visto in questi dizionari, riusciamo a capire che il discorso della unzione non era semplicemente un atto simbolico ma chi entrava nelle dimore degli Elohim doveva essere svestito delle sue vesti, frizionato, e poi cosparso di olio al punto da essere imbrattato, forse per prevenire ed evitare contaminazioni particolarmente pericolose per gli Elohim.

Questa è una delle tante cose che ci racconta questo personaggio che, come Noè, viaggiava avanti e indietro con gli Elohim e tutto questo avveniva nel corso di secoli nei quali gli Adamiti, centinaia, migliaia di Adamiti, convivevano tutti assieme, vivevano a stretto contatto con gli Elohim, esattamente come ci raccontano i narratori dei cosiddetti miti greci quando ci parlano del periodo in cui gli uomini e gli “dèi” vivevano insieme: la famosa età dell’oro.

Gli uomini e i cosiddetti dèi viaggiavano assieme, i cosiddetti dèi scendevano, si univano con gli uomini, i cosiddetti dèi sceglievano alcuni privilegiati, li trattavano in un modo speciale, li portavano con sé o affidavano loro dei compiti speciali. Proviamo a dare fiducia a questi antichi autori, facciamo finta che ci abbiano raccontato delle cose reali e allora capiremo che c’è stato un periodo nel corso della storia dell’umanità in cui succedevano delle cose a volte terribili ma altrettanto molto affascinanti, certamente diverse dalla narrazione teologica che è stata fatta per secoli.

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