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Elohim e gli odori nella Bibbia

Quando ci si avvicina al testo biblico si incontrano numerosi termini che la tradizione religiosa ha reso con significati che sono stati per molti secoli funzionali alla visione del quadro d’insieme: quello che ci narra di un “Dio” spirituale, trascendente, al quale l’uomo si rivolge con deferenza compiendo atti il cui valore simbolico richiamerebbe la volontà di innalzare l’elemento spirituale umano fino al contatto con il suo omologo creatore divino.

Ma l’Antico Testamento ci racconta proprio questo?

Siamo di fronte a una rappresentazione che appare coerente fino a che l’analisi rimane a un livello superficiale e fino a quando il significato letterale di quei termini non evidenzia un contrasto evidente.
Questo aspetto contradditorio è presente in tutti i libri che contengono la storia delle origini del pensiero giudaico-cristiano.
Ci riferiamo ai passi biblici in cui viene evidenziato con straordinaria precisione – e con la concretezza che ormai abbiamo imparato a riconoscere agli antichi autori ebrei – che gli Elohim amavano annusare dei profumi specifici, odori particolari e non sempre piacevoli per noi umani e davano indicazioni ben precise per le procedure necessarie per ottenerli.

Olocausto, riti e odori

In Genesi 8, 18-21 il racconto narra che Noè, a Diluvio terminato, verifica che le acque si siano ritirate e poi fa uscire dall’Arca la moglie, i figli con le rispettive consorti, tutti gli animali, ciascuno secondo la sua specie…

Come primo atto il patriarca biblico sente la necessità di erigere un altare sul quale offrire dei sacrifici: dice il versetto 20 che egli offrì olocausti di animali e volatili. Con il termine olah (olocausto) l’ebraico indica il sacrificio che consisteva nel bruciare totalmente la vittima senza lasciarne alcunché; non rimanevano quindi parti da consumare o da offrire: l’offerta era in realtà esclusivamente il fumo o, per la precisione, l’odore di quei fumi.

La radice consonantica ebraica del termine olah rimanda al significato fisico e concreto dell’innalzarsi, del salire verso l’alto, come caratteristica fondamentale dell’atto compiuto.

Il vocabolo italiano “olocausto” mantiene pienamente il senso di questo termine, poiché deriva dal termine greco “olokaustos” che identifica “ciò che è stato interamente arso” sul fuoco. La fisicità di quanto prodotto era importante nella fase dell’esecuzione; la conoscenza del significato letterale dei termini e quello dei possibili effetti prodotti da quel fumo sugli Elohim ci aiuterà poi a comprendere meglio le motivazioni di questo rituale.
Quanto che ci racconta la Bibbia diverge decisamente da ciò che comunemente pensiamo di sapere: in origine l’olocausto serviva in effetti a facilitare il rapporto con gli Elohim, a omaggiarli per ingraziarseli, per renderli amichevoli, per predisporli positivamente ad accettare eventuali richieste presentate dall’offerente.
Si adottava quindi nei confronti degli Elohim il comportamento tipico di un qualunque individuo che mira ad accattivarsi i favori del potente di turno e gli fa dono di un qualcosa che gli è particolarmente gradito, o magari utile, come vedremo.

In alcuni passi della Torah si possono esaminare le indicazioni precise che “Dio” ha fornito in merito agli olocausti e ad altri tipi di offerte. Sono passi in cui si possono soprattutto verificare gli effetti dichiarati che i vapori aromatici derivanti da quei riti producevano sugli Elohim, cioè su coloro che tradizionalmente sono considerati “Dio”.

Noè

Come detto sopra, nel capitolo 8 del libro della Genesi viene descritto il sacrificio che Noè compie in favore dell’Elohim. Al versetto 21 leggiamo che l’Elohim, dopo aver annusato l’odore prodotto dall’offerta consumata dal fuoco, manifesta la sua determinazione a non colpire più gli esseri viventi sul pianeta a causa dell’uomo, in quanto afferma nello stesso versetto di avere preso atto che l’Adam è per natura malvagio.

“Dio” quindi annusa gli effluvi dell’olocausto e immediatamente si addolcisce nei confronti della stirpe umana che fino a poco prima aveva deciso di sterminare.

Come è possibile che questo Dio “spirituale, onnisciente” non conoscesse già le imperfezioni e la malvagità dell’uomo, visto che lui stesso lo aveva formato “a sua immagine”?

Perché l’Elohim ha dovuto sterminare «ogni creatura esistente sulla faccia della Terra» (Genesi 7, 23) prima di rendersi conto di questa evidente realtà?

Mosè

Nel libro del Levitico, al capitolo 1 leggiamo che l’Elohim conosciuto con il nome di Yahweh convoca Mosè e gli parla «dalla tenda dell’incontro», un luogo fisico ben preciso. Gli impartisce alcune direttive in merito ai sacrifici: gli dice che gli animali destinati agli olocausti devono essere “completi, interi, senza difetti”, tamim, e che dovranno essere bruciati «alla porta della Tenda dell’incontro»; indica cioè un luogo determinato e dalla lettura del testo comprendiamo inoltre che, per essere accettato, quel sacrificio doveva avere caratteristiche precise sia in termini di oggetto del consumo che di luogo in cui deve essere eseguito.

Da queste indicazioni consegue che quel sacrificio possiede una sua efficacia fisica che può essere garantita solo dal compimento di atti determinati. Non traspare qui il significato simbolico, per la cui valenza sarebbe probabilmente sufficiente bruciare un qualcosa che produca quel fumo necessario a richiamare l’idea di uno spirito che sale verso il suo Dio.

Le norme impartite per l’esecuzione sono infatti molto accurate: immolare l’animale alla presenza dell’Elohim, spargere il sangue per non bruciarlo, tagliare la vittima a pezzi, preparare il fuoco con la legna, mettere i pezzi sul fuoco e procedere con l’olocausto. Comprendiamo bene che questa successione precisa di atti stupisce se si vuole ritenere che abbia un puro valore simbolico o spirituale.
Forse siamo autorizzati a pensare che tanta meticolosità operativa significasse qualcosa di più; infatti leggiamo (Levitico 1,9) che il rispetto preciso di questi gesti determinava un effetto particolare, si produceva l’effetto positivo sul “cosiddetto Dio” mediante l’odore stesso e non l’ascesa del fumo verso il cielo, il suo disperdersi nell’aria.

Questa peculiarità è riconfermata al versetto13 e nel capitolo 8, 21, che riprendono sostanzialmente la stessa formulazione e dai quali si comprende che ciò che interessa è la produzione dell’odore che sarà sempre gradevole, gradito, ma non solo, per l’Elohim.

Siamo quindi in presenza di indicazioni precise, di norme operative chiare e scrupolose, di una successione di gesti da compiere senza derogare.

Partendo dal presupposto puramente teologico che quando la Bibbia usa il termine Elohim intende indicare il “Dio” unico spirituale e trascendente, la tradizione religiosa ha sempre attribuito all’olocausto un valore puramente simbolico, sostenendo in estrema sintesi che il fumo rappresenta l’anima che sale verso “Dio” per stabilire con lui un legame, ottenere il perdono per colpe commesse o ricevere i favori richiesti.

Un “Dio” che annusa odori concreti non è infatti compatibile con l’immagine veicolata dalla teologia monoteista. Ma gli autori biblici non avevano questo tipo di visione precostituita e dunque non si facevano scrupolo di raccontare anche ciò che a noi parrebbe inaccettabile: quel “Dio” annusava e voleva annusare quegli odori precisi.
Il vocabolo ebraico utilizzato per descrivere gli effetti dell’olocausto su Yhaweh è nichoach e ci indica che quell’odore determinava un risultato letteralmente “rilassante, calmante, tranquillizzante” e anche “lenitivo”.

Deriva dalla voce verbale nuch che indica lo “stare tranquillamente distesi, riposare, essere quieti”. La sua etimologia rimanda inoltre al “fermarsi, cessare il movimento”. Questo vocabolo contiene quindi significati che in prima battuta richiamano l’idea della tranquillità, del rilassamento, del superamento di stati di tensione…

Dobbiamo inoltre precisare che quegli Elohim facevano uccidere degli animali al solo scopo di sentire degli odori; la vita dell’animale non aveva altro valore che quello di soddisfare lo strano bisogno di cui presto capiremo la possibile motivazione.

Quindi mentre le traduzioni teologiche tradizionali mettono l’accento sul generico senso di soavità, di piacere, che possono certamente essere legati al rilassamento, in realtà non sono ad esso sovrapponibili.

Si tratta evidentemente di ben altro, di un bisogno concreto, pressante, talmente forte da giustificare l’uccisione di animali che costituivano la fonte di vita del popolo che li vedeva letteralmente “andare in fumo”.
Va detto che altre forme di sacrificio prevedevano che una parte della vittima venisse consumata dal sacrificante stesso o dai sacerdoti che traevano quindi dai riti una fonte di sostentamento ma noi ci stiamo occupando di quel particolare rituale che era finalizzato a produrre un “odore”.

Caino e Abele

Approfittiamo dell’ipotesi interpretativa che stiamo seguendo per leggere un passo dell’Antico Testamento tanto conosciuto quanto controverso: la prima parte del racconto di Caino e Abele (Genesi 4, 1-4). Dice la Genesi che Abele divenne pastore di greggi mentre Caino coltivava la terra; dopo un certo tempo Caino offrì dei frutti della terra a Yahweh e Abele offrì invece dei primogeniti del suo gregge assieme al loro grasso.
Anche in questi versi abbiamo la conferma che ciò che quel particolare Elohim gradiva era solamente la carne, perché frutti, ortaggi o cereali bruciati sul fuoco non producevano evidentemente l’effetto desiderato.

Ma se ciò che conta in un sacrificio di offerta sono le intenzioni, come poteva “Dio” non apprezzare le intenzioni di Caino? Come poteva non accettare l’offerta di un agricoltore che non aveva altra possibilità che donare i frutti della terra, del suo lavoro? Perché era gradito un dono e sgradito l’altro?

Non certo la volontà dell’offerente ma la sua efficacia reale, questo era l’unico aspetto che interessava a “Dio”: solo l’odore della carne garantiva gli effetti rilassanti, calmanti, tranquillizzanti ricercati dall’Elohim e dunque a lui graditi.
Molte traduzioni riportano che il signore non gradì l’offerta di Caino, ma la Bibbia qui è molto chiara e, per esprimere la reazione di Yahweh, usa il verbo scià che significa “osservare con intenzione, considerare”.
Il significato del versetto andrebbe dunque reso nel seguente modo: Yahweh «osservò con intenzione/prese in considerazione» l’offerta di Abele e «non osservò con intenzione/non prese in considerazione» l’offerta di Caino. Si rivolse in sostanza verso ciò che gli procurava piacere o risolveva forse, come presto vedremo, una sua precisa esigenza fisica. Molto concretamente non mostrò alcun rispetto per le intenzioni di Caino, rifiutò l’offerta che non lo interessava.

Profumo bruciato, quale profumo?

Quel bisogno così strano e per noi forse incomprensibile dell’Elohim trovava anche altri modi per essere soddisfatto.
In Levitico 16, 13 ed Esodo 30, 27 e 30, 34-38 abbiamo la descrizione di un altro aroma e notiamo come anche questo debba necessariamente essere prodotto attraverso la combustione, che a questo punto rappresenta l’elemento ricorrente e dunque indispensabile per gli effetti che se ne attendono.
Yahweh sta fornendo a Mosè le indicazioni che Aronne dovrà seguire per entrare nel Tempio-tenda e rimanere in vita: vi era forse anche il rischio di morire. Era quindi grande l’attenzione che bisognava porre nell’eseguire gli ordini,
Il termine utilizzato qui qetoret indica “offerta bruciata, profumo bruciato” e in Esodo 30, 34 l’Elohim fornisce anche la ricetta per comporre la miscela capace di produrre il fumo voluto.

Da un’attenta lettura dei passi in cui vengono impartite queste norme rituali si comprende cha la giusta miscela doveva essere anche correttamente posizionata. Il versetto 36 contiene infatti vere e proprie prescrizioni e fornisce un’indicazione precisa sul luogo in cui andrà bruciato il composto.

Questa miscela era talmente importante che l’Elohim proibisce la fabbricazione dei singoli aromi e ogni uso che non sia quello da lui previsto. Questo divieto era tassativo perché chi avesse contravvenuto tale disposizione sarebbe stato messo a morte, e sappiamo che non si trattava di una semplice minaccia (Esodo 30, 37-38).

Se riflettiamo sull’interpretazione teologica tradizionale, non possiamo anche qui non sottolineare un aspetto incomprensibile: se questo fumo simboleggia, secondo la teologia, lo spirito dell’offerente, perché non dev’essere usato anche dall’offerente stesso? Perché solo “Dio” può annusarlo!?

In questi versi troviamo un termine che viene normalmente tradotto con “sacro” kodesh, che in realtà ha nell’ebraico delle origini un valore totalmente diverso da quello che gli viene attribuito nell’accezione religiosa comune: significa infatti “separato, messo da parte, destinato a…”. Indicava quindi che ciò che era sacro veniva separato dal resto per essere destinato in modo specifico a una particolare finalità.
Infatti questo particolare aroma era prodotto per svolgere una funzione precisa e doveva essere riservato all’Elohim; nessuno doveva fabbricarsene per sé, pena la morte.

La miscela destinata all’olocausto doveva essere composta in parti uguali da quattro elementi, conosciuti ancora oggi dalla fitoterapia che attribuisce loro delle funzioni specifiche.

  1. Storace (Styrax Officinalis), dalle proprietà antisettiche e cicatrizzanti; era conosciuto nell’antichità come farmaco per curare le affezioni respiratorie.
  2. Onice (“Unghia odorosa”), un mollusco la cui conchiglia frantumata e bruciata produce un odore molto forte e pungente. Il termine ebraico “onice” scechelet, in aramaico significa “rimediare, ripristinare”, rimandando quindi a una possibile funzione riparatrice di una qualche situazione.
  3. Galbano (Ferula galbanifera), una gommoresina dall’odore abbastanza sgradevole, un sapore amaro bruciante. In fitoterapia viene ancora oggi utilizzato come antinfiammatorio, antimicrobico, rilassante, afrodisiaco.
  4.  Incenso (Boswellia carterii, serrata, papirifera), oleoresina con proprietà tranquillanti, ansiolitiche, antinfiammatorie, considerate utili anche nella cura dell’asma bronchiale.

Questa miscela composta in parti uguali dalle sostanze elencate pare dunque avere delle finalità molto precise: ha in effetti nel suo insieme proprietà antisettiche, ansiolitiche, tranquillanti, è inoltre in grado di regolare il ritmo della respirazione.La miscela descritta nella Bibbia emana un odore che, data la presenza del galbano e dell’onice, risulta essere molto intensa, decisamente peculiare e non propriamente gradevole, almeno nel senso comune del termine.

Miscela sbagliata?

I capitoli 8 e 9 del Levitico ci narrano di una serie di olocausti che per la durata di otto giorni hanno sacrificato molti animali (montoni, vitelli, agnelli…) con i quali si è continuamente prodotto un odore nichoach dedicato a quell’Elohim (8, 21; 8, 28). Lo scopo di quella piccola ecatombe era quello di purificare il Tempio-tenda del deserto e procedere alla consacrazione della famiglia di Aronne per prepararla all’incontro con Yahweh.

Il verbo ebraico che viene normalmente tradotto con “consacrazione” deriva dal verbo mala che significa “essere pieno o riempire”; con maggior precisione l’espressione specifica di “riempire la mano” (Levitico 8, 33) indicava l’atto di installare qualcuno in una carica.

Quindi ad Aronne e ai suoi figli dovevano essere assegnate delle cariche precise che noi descriviamo come sacerdotali. Nell’ottavo giorno si deve compiere l’atto formale e si verifica un fatto portentoso (Levitico 9, 23-24): Yahweh si manifesta con il suo kavod a tutto il popolo e subito dopo, letteralmente, «un fuoco uscì da facce di Yahweh e bruciò l’olocausto». A quella vista il popolo si prostra con la faccia a terra.
Questa volta l’Elohim provvede in prima persona a incendiare quanto era stato preparato e lo fa con un atto che colpisce le centinaia di persone presenti.

Nel successivo capitolo 10 due figli di Aronne prendono un’iniziativa che sarà loro fatale (Levitico 10, 1-3). Nadab e Abiu infatti prendono i loro due bracieri, vi mettono il fuoco e lo presentano all’Elohim; il versetto 1 dice che si trattava però di un fuoco che viene definito zara, “strano”, anomalo, che non era stato loro ordinato. Questo termine indica infatti un elemento “straniero, separato, diverso”; contiene anche il significato di “ripugnante, disgustoso”.

Abbiamo quindi una ulteriore discordanza tra il concetto prettamente teologico del cosiddetto “Dio d’amore” e la cruda realtà dei fatti: un gesto di rispetto verso la divinità, un’offerta spontanea, dunque apparentemente apprezzabile, si rivela invece un’imprudenza dalle conseguenze drammatiche. L’Elohim reagisce immediatamente e «un fuoco uscì da facce di Yahweh e li divorò ed essi morirono a facce di Yahweh» (10, 2).
Abbiamo ancora una volta un “Dio” che non tiene minimamente conto delle intenzioni dei suoi fedeli servitori, ma si limita a giudicare gli effetti concreti e materiali dei gesti compiuti dagli uomini: gli errori non venivano perdonati.

Ricaviamo da questo passo un dato preciso che ci dice molto sulla “personalità” di questo Elohim, sulla considerazione che aveva per le sue creature, i suoi rappresentanti, e soprattutto sugli obiettivi reali che muovevano le sue azioni: era infatti sufficiente compiere un’anomalia nel condurre la ritualità prescritta, offrire un qualcosa di non piacevole, cioè non nichoach, e si poteva morire bruciati vivi.

Le spiegazioni tradizionali non riescono a dare risposte coerenti: un “Dio” spirituale non è infatti compatibile con questi comportamenti. Non si può neppure dire che egli lo faceva per venire incontro alle esigenze barbare di un popolo che ancora non conosceva tutti gli aspetti etici e civili di una cultura evoluta: le numerose norme e regole che egli fornì per la “formazione” del popolo durante gli anni trascorsi nel deserto ci stanno a indicare che quelle genti conoscevano molto bene i valori morali e l’importanza della loro corretta applicazione per garantire una convivenza civile.

Queste indicazioni rituali avevano dunque significato per lui, per “Dio”, per l’Elohim che voleva sentire quegli odori precisi. Abbiamo qualche idea sulle motivazioni?

Una prima ipotetica risposta arriva da una notizia comunicata dalla NASA a partire dall’ottobre del 2008, in seguito confermata dall’esperienza di numerosi astronauti (come ad esempio Chris Hadfield), che consente di fornire un’ipotesi di riscontro motivato alle domande che sovvengono durante queste letture:

“Gli astronauti della NASA che hanno compiuto passeggiate spaziali riferiscono un dato che appare sconcertante, una vera sorpresa. Tutti loro hanno avvertito con chiarezza un odore che rimanda a due situazioni precise e lo hanno sentito al momento in cui si sono tolte le tute indossate per uscire nel vuoto: il tipico odore della carne alla griglia unito all’odore specifico del ferro riscaldato dalla fiamma.”

Abbiamo quindi un dato che non ci aspettavamo: chi viaggia nello spazio avverte delle sensazioni olfattive nette.
Già il 18 settembre 2006 Anousheh Ansari, ricca imprenditrice iraniano-americana, ha partecipato – come turista facente parte dell’equipaggio Expedition 14 della Soyuz 9 – a una spedizione di otto giorni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Al ritorno ha comunicato agli utenti del suo blog di avere avvertito anche un odore simile alla «puzza di biscotti alle mandorle bruciati» (ricordiamo l’odore sgradevole del galbano e dell’onice?).

Chi viaggia nello spazio vive quindi delle sensazioni olfattive precise, nette, talmente intense da essere ricordate e talmente forti da indurre la NASA a inserirle come esperienza preliminare nei programmi di addestramento degli astronauti.

Steven Pearce, chimico e direttore dell’azienda profumiera inglese Omega Ingredients, incaricato dalla NASA di riprodurre l’odore presente all’interno della navicella spaziale russa Mir, una sorta di “odore dello spazio”, dice che è stato abbastanza facile riprodurre l’odore della carne alla griglia mentre più difficile era invece riprodurre esattamente quello del metallo riscaldato.
L’impiego di questa fragranza serve a dare maggiore realismo all’addestramento dei futuri astronauti: viene fatta loro annusare quando indossano le tute prima di essere immersi nelle grandi piscine in cui viene simulata l’assenza di gravità. I cosmonauti si abituano così a sentire l’odore che troveranno lassù.

La spiegazione di questo “odore” risiede in un fenomeno in realtà ben conosciuto: nello spazio aumenta il ricambio cellulare degli strati superficiali dell’epidermide e dunque aumenta in modo esponenziale il numero di cellule morte. Quando gli astronauti indossano le tute per lavorare all’esterno, queste cellule si staccano per il normale effetto dello sfregamento e successivamente si liberano quando la tuta viene tolta all’interno della navicella. Al contatto con l’atmosfera artificiale ricca di ossigeno le cellule morte subiscono un rapidissimo processo di ossidazione che produce proprio quel forte odore di carne bruciata: sono dunque gli astronauti che “puzzano” e non lo spazio.

Ma torniamo ora alla Bibbia…

Stiamo cercando di comprendere la stranezza insita nel piacere che gli Elohim provavano quando annusavano l’odore di carne bruciata nei sacrifici.
La miscela che abbiamo sopra descritto produceva sensazioni di vario ordine (intellettive, emozionali, passionali, fisiche, sensoriali…) e dunque appare consequenziale chiedersi: “Se gli Elohim erano individui provenienti dallo spazio, quante volte hanno annusato quello specifico odore? Era forse per loro familiare? Li rilassava?
Oppure, facendo bruciare la carne, volevano mascherare quella “puzza” che era prodotta dalla loro stessa pelle e che non volevano fare sentire a chi li incontrava fisicamente?”

A questo punto possiamo chiederci “Ma qual è la composizione delle sostanze sprigionate da questi fumi? Ci può aiutare la chimica?

Una combustione mista ed incompleta del materiale lipidico e delle catene proteiche, costituite da diversi amminoacidi uniti tra loro, presenti nel grasso e nella carne delle vittime sacrificali, quando completamente consumate alla brace produce sostanze con struttura chimica di peptidi oppioidi evocante quella delle endorfine.

Un piccolo aiuto ci può arrivare dalla fisiologia umana che ci spiega che le endorfine, peptidi prodotti dal corpo umano che producono analgesia, sedazione (anche respiratoria), obnubilazione e ottundimento delle capacità neuro-sensoriali, apatia e letargia. Sono inoltre in grado di stimolare l’appetito, il senso della sete, la secrezione dell’ormone della crescita, regolano la produzione di ormoni tiroidei e sessuali e infine hanno un effetto antinfiammatorio, migliorano in senso generale il tono dell’umore.
Possono essere assorbite attraverso l’apparato gastro-enterico, la mucosa nasale, le vie respiratorie; queste sostanze danno assuefazione, è necessario pertanto ripetere e incrementarne l’assunzione per continuare ad avere sempre lo stesso effetto.

Gli oppioidi per eccellenza sono la morfina e l’eroina, che presentano una struttura affine a quella delle endorfine naturalmente prodotte dall’organismo umano.
Dallo studio della composizione chimica delle sostanze prodotte dalla combustione dei grassi e delle proteine animali rileviamo una sostanziale affinità con le sostanze sopra descritte (peptidi oppioidi endogeni, oppioidi ). Possiamo quindi ipotizzare che proprio questi componenti morfino-simili del qetoret, o “offerta bruciata”, potessero essere i responsabili dell’effetto calmante sull’Elohim e della necessità del “cosiddetto Dio” di averne a disposizione notevoli quantità.

Insomma, il nichoach della Bibbia che abbiamo detto rappresentare una chiara “condizione di rilassamento” trova qui una possibile spiegazione neurofisiologica. Si tratta ovviamente di una ipotesi, tuttavia è proprio con le ipotesi che bisogna procedere quando ci si trova di fronte a testi antichi che ci narrano vicende e situazioni così concrete.

Appare quindi compatibile e virtualmente possibile, sia bio-chimicamente che neuro-fisiologicamente, come lo strano piacere olfattivo provocato dall’odore generato dalla combustione di proteine e grassi animali delle vittime sacrificali, ripetutamente descritto in Yahweh, possa essere dovuto alla stimolazione di particolari sistemi endorfinici e di altri possibili neuro-trasmettitori chimici che interagirebbero con la neurofisiologia di un essere vivente simile all’uomo, ma non del tutto.

Per quanto riguarda i componenti vegetali nell’olocausto e il mollusco, le stesse proprietà antisettiche, antinfiammatorie, favorenti la funzionalità polmonare ne giustificano l’utilizzo volto a migliorare le condizioni ambientali alle quali l’Elohim si doveva sottoporre per incontrare gli umani.

A conferma di questa ipotesi vi è la complessa ritualità che prevedeva lavacri e pulizia del corpo di coloro che dovevano entrare in contatto le cosiddette divinità: serviva forse a prevenire possibili cause di contaminazione?

In sintesi

Ora sappiamo dal testo biblico che l’Elohim chiamato Yahweh si faceva preparare delle sostanze che annusava per conseguire uno stato di rilassamento, una sorta di tranquillità che doveva essere a lui riservata e di cui aveva bisogno. I fumi così prodotti regolarizzavano anche il suo respiro e producevano un effetto sterilizzante negli ambienti dell’abitazione che si era fatto costruire nel deserto e che utilizzava quando intendeva avere contatto diretto con i rappresentanti del popolo: una procedura estremamente concreta e facilmente comprensibile se si pensa alle condizioni igieniche del tempo, per lui decisamente rischiose.

Gli interrogativi che ci siamo posti durante questo percorso riflessivo ci aiutano a percorrere una via che supera le incongruenze presenti nelle spiegazioni tradizionali, nelle quali si legge ad esempio che tutto ciò che la Bibbia insegna sulle offerte e sui sacrifici si trova al cuore stesso della storia della redenzione e ci aiuta a comprendere che è necessario riconoscere continuamente al Signore la Sua misericordia, oppure che «la vittima animale o l’offerta vegetale incarnano lo stesso fedele che offre se stesso alla divinità così da stabilire con essa un vincolo di comunione».

Come abbiamo visto, il povero ebreo che si immedesimava totalmente, al punto da volere provare ad “annusare” gli stessi odori, veniva messo a morte.
Quindi non è facile liquidare come “fantasiose” le interpretazioni precedentemente riportate che hanno il pregio di essere contigue al testo biblico, mentre bisogna rilevare che le elaborazioni teologiche appaiono spesso incompatibili, se non addirittura in deciso contrasto, con quello che i racconti delle origini ci narrano in concreto.

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