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Discorso sul metodo

Chi si lascia bloccare dal timore di commettere errori non avvierà mai alcun cammino.

In un ambito come quello di cui ci si occupa, la verità è quanto di più sfuggevole si possa immaginare e le difficoltà che si incontrano nel percorso sono tali e tante che la tentazione di rimanere sempre cauti oltre ogni limite rischia di costituire un freno, un elemento limitante al punto da bloccare la volontà di procedere.

Questa tentazione va superata; la lettura dei testi antichi porta con sé questa caratteristica come una sorta di dato ineliminabile, una sorta di zavorra mentale della quale bisogna essere consapevoli e dalla quale bisogna quindi sapersi liberare con misura, in modo progressivo e nei tempi giusti.

La consapevolezza di non possedere la verità, l’impressione che talvolta coglie lo studente (studioso è termine troppo grande e importante per farne uso qui) di condurre ragionamenti che superano i confini di ciò che è accettato nella cultura socialmente condivisa devono essere considerati e utilizzati come condizioni portatrici di libertà.

Chi, per scelta metodologica onestamente e apertamente dichiarata, “fa finta” che le cose stiano in un certo modo e che i testi antichi possano essere letti secondo un criterio preciso (facciamo finta che sia vero ciò che vi si legge letteralmente) è libero di procedere per ipotesi anche azzardate a patto che queste siano coerenti con quanto si legge nei testi da cui si prende spunto.

Le ipotesi

Le ipotesi sono, per loro caratteristica intrinseca, indimostrabili: il sopraggiungere della dimostrazione le trasforma in tesi con pretesa motivata di verità e dunque oggetto di verifica finalizzata a dimostrane la fondatezza o il suo contrario.

L’ipotesi è per definizione una spiegazione per sua natura provvisoria di un fatto, di una situazione non meglio conosciuti o accertati, elaborata e formulata sulla base di congetture o indizi.

L’ipotesi viene utilizzata nel mondo della ricerca scientifica, ed anche in quello letterario, per indicare una formulazione provvisoria di una spiegazione di un fenomeno, di un evento, di un fatto storico, di un racconto o insieme di racconti, di una situazione che si presenta al ricercatore (ad esempio un reperto, un sito archeologico).

La enunciazione di una spiegazione provvisoria ha lo scopo esclusivo di fornire una prima sistemazione al problema che è oggetto di analisi: si tratta di problema proprio perché la situazione che è in studio non ha in sé tutti gli elementi necessari per essere spiegata e compresa oltre ogni ragionevole dubbio e si presenta appunto problematica.

La prima sistemazione costituisce la base per i successivi necessari passi, per le indagini che devono proseguire al fine di giungere, se e quando questo sia possibile, alla definizione dotata di quelle caratteristiche che consentono di considerarla verità, nel significato che convenzionalmente viene dato a questo termine.

Le ipotesi, che nell’uso comune hanno il significato e la valenza di supposizioni, sono dunque dei cartelli segnaletici che indicano possibili vie da percorrere, temi da approfondire, misteri, presunti o dichiarati tali, su cui tentare di fare luce.

Il dogma

Facendo preciso riferimento ai cosiddetti testi sacri, l’osservazione di ciò che attorno ad essi si è sviluppato evidenzia come le semplici ipotesi siano spesso dichiarate verità e, nella impossibilità di fornirne la necessaria dimostrazione, siano talvolta presentate ed imposte in forma di dogmi o di misteri per loro natura inspiegabili e dunque neppure indagabili: sia i dogmi che i misteri devono essere accettati nella formulazione elaborata da coloro che ne sono i produttori.

Spesso però sia i dogmi che i misteri sono formulati in totale e insanabile contrasto con gli stessi testi da cui vengono pretestuosamente e infondatamente ricavati. Si elabora un dogma per imporre un concetto ritenuto funzionale ad una dottrina e si introduce la categoria del mistero per fornire una non-spiegazione ad un concetto, una idea, un contenuto che non sono spiegabili secondo logica e, spesso, neppure secondo nomale buon senso.

Questo succede, e si rende comprensibilmente necessario, quando le presunte verità vengono elaborate a priori per essere poi inserite in – e fatte forzatamente coincidere con – testi che di quelle verità non si occupano.

Il dogma ed il mistero sono quanto di più lontano si possa immaginare dalla nostra scelta metodologica che fa della osservazione e del dubbio i suoi elementi costitutivi.

Il lavoro che si sta conducendo con i testi antichi parte da questo semplice presupposto: vediamo cosa dicono concretamente e osserviamo cosa ne scaturisce nel momento in cui si rende inevitabile formulare spiegazioni.
Qui nasce e si inserisce l’ipotesi sopra definita; un tentativo di spiegare mantenendo coerentemente ferma la scelta di base di considerare validi e veritieri i testi su cui si lavora.

Facciamo finta che sia vero ciò che leggiamo e manteniamo la stessa concretezza nel tentare di spiegare (cioè ipotizzare un spiegazione) ciò che talvolta purtroppo non è chiaramente descritto.

Il metodo del “fare finta” mantiene aperta ogni via, non preclude nulla, presenta delle ipotesi ma, a differenza delle varie forme di dogmatismo religioso o scientista, rimane aperto ad ogni possibile soluzione.
Definiamo scientista l’atteggiamento di chi, non essendo scienziato, assume come vero, indiscutibile e assodato, ciò che gli scienziati formulano invece in forma ipotetica, consapevoli come sono che la verità è il frutto di una lunga ricerca ed è sempre passibile di discussione e di rielaborazione.
Gli scientisti sono dunque dogmatici tanto quanto lo sono molte persone che nutrono una fede religiosa in presunte verità da essi ritenute non negoziabili.

I “fare finta” non prevede – e non necessita di – dimostrazioni (che spettano ai detentori di verità) ma procede – supportato dal coraggio di commettere errori – col fine dichiarato di fornire elementi di riflessione a chi per sua natura desidera a sua volta percorrere una sua via autonoma, un cammino libero da condizionamenti.
I contenuti e gli spunti offerti da questa scelta metodologica sono necessariamente diversi e in contrasto con le chiavi di lettura tradizionali, soprattutto là dove queste ultime si presentano palesemente incoerenti con i testi cui si applicano.

I contenuti formulati in forma di ipotesi talvolta sono talmente nuovi da essere dichiarati folli o comunque inaccettabili, spesso con prese di posizione aprioristiche basate su un acritico “non è possibile che…”.
Lo studente che procede per ipotesi deve mettere in conto tutto questo, così come deve mettere in conto la possibilità di commettere errori: un rischio inevitabile per chi percorre strade che non solo sono nuove ma che già si sa che saranno contrastate a prescindere da ogni considerazione oggettiva.
Rischio che si fa tanto più reale quanto più si è disponibili a formulare, come detto sopra, ipotesi anche molto azzardate con lo scopo dichiarato di lanciare un sasso nelle acque immobili di uno stagno che da secoli vive di una vischiosità utile a mantenere lo status quo, cioè una situazione funzionale al mantenimento del controllo su ciò che deve essere conosciuto e creduto vero.

Chi non è disponibile ad accettare questo deve rimanere fermo nella tranquillità confortevole del già detto, nella comodità avvolgente e rassicurante del risaputo, del comunemente accettato che spesso viene condiviso con lo stesso atteggiamento acritico con cui si tenta di contrastare il nuovo.

Il falso Testamento

Il mio libro “Il falso Testamento” (Mondadori) si pone deliberatamente nella situazione caratterizzata dal rischio di sbagliare e dalla certezza di suscitare reazioni variamente caratterizzate, ma vive anche della certezza di essere costruito sulla base della coerenza con i testi di cui si occupa e con le emergenze documentali di cui si avvale. Coerenza con i testi non significa necessariamente verità (neppure la esclude), ma semplicemente volontà di capire cosa dicono per osservare il quadro complessivo che ne emerge.

Il filosofo psicanalista ebreo Dr. Giovanni Allotta Stuparich analizzando il mio lavoro ha scritto che:
“Non si possono ignorare le sue citazioni corrette dette con estrema ed ammirevole onestà, proprio non vedo cosa gli si possa contestare quando egli, per fortuna, porta a leggere il Testo per come è scritto e basta. Poi ognuno interpreti il resto come meglio crede. Esiste una libertà! Credo non sia onesto criticare la sua metodologia rigorosa d’impostazione di lettura ma piuttosto disonesto confutarla” (Gruppo FB “Biglino/Sitchin pro e contro”, 7/11/2016)

L’autore non possiede verità; l’autore studente procede nella ricerca di elementi di riflessione e nella formulazione di possibili spiegazioni che devono essere coerenti con quanto gli autori antichi hanno lasciato letteralmente scritto.

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